Siamo aperti dal lunedì al venerdì dalle 15:30 alle 18:30. La mattina si riceve per appuntamento.

La sede si trova a Reggio Calabria, in Via del Torrione n. 42. Potete contattarci al numero 0965.29805 o via e-mail all'indirizzo casadelconsumatore.rc@gmail.com. Legali della sede: Francesca Giordano, Pia Maria Gullì, Vincenzo Mangione, Dario Minniti, Giampaolo Puglia, Mario Scafidi.

lunedì 16 dicembre 2013

Telefonia: Importante risultato della Casa del Consumatore di Reggio Calabria in difesa degli utenti

Il CORECOM Calabria ha dato ragione alla Casa del Consumatore di Reggio Calabria: i consulenti legali dell'associazione, avv.ti Anna Maria Liconti e Mario Scafidi, hanno rappresentato e difeso un'associata che lamentava nei confronti di un noto gestore telefonico varie inadempienze contrattuali tra cui l'errata applicazione di piani tariffari, la mancata portabilità, la tardiva riparazione di guasti segnalati e riparati con ritardo. Gli svariati disservizi avevano colpito un grandissimo numero di utenze (oltre ottanta) e vani si erano palesati tutti i tentativi bonari, portati avanti dalla Cliente nei confronti della compagnia telefonica tramite telefonate, fax e raccomandate a.r., rimasti totalmente inevasi.  La Casa del Consumatore di Reggio Calabria si è fatta portavoce delle legittime istanze della propria associata presentando dapprima istanza per tentativo di conciliazione e successivamente, stante la mancata disponibilità del gestore ad addivenire ad un accordo conciliativo, istanza per la definizione della controversia sempre avanti il CORECOM CALABRIA. Ad entrambe le istanze si opponeva il gestore telefonico, negando qualsivoglia responsabilità per le varie condotte illegittime assunte e chiedendo di contro la condanna della Cliente al pagamento di un corrispettivo per i servizi resi per un importo superiore ad € 80.000,00. L'Autorità adita, in accoglimento delle richieste avanzate dalla Casa del Consumatore di Reggio Calabria ed a definizione della lite, ha riconosciuto la responsabilità del gestore telefonico in ordine a tutte le violazioni denunciate, rideterminando gli importi indicati nelle fatture contestate, stornando gran parte della presunta esposizione debitoria della parte rappresentata e disponendo che l'associata, titolare di oltre 80 sim e di utenze fisse, sia tenuta a corrispondere al gestore telefonico un importo pari a circa € 13.000,00 per i servizi telefonici resi a suo favore dalla compagnia nel corso di un intero anno solare in luogo degli oltre 80.000,00 euro richiesti dal gestore telefonico resistente. Il tutto, condannando il gestore al pagamento delle spese di lite.

lunedì 18 novembre 2013

C-MOR: istruzioni su una nuove voce nelle bollette dei energia elettrica diretta a pesare sulle tasche dei consumatori

Riportiamo dal Blog del Consumatore:

Il Tar della Lombardia “grazia” chi cambia operatore. Il nuovo fornitore non potrà più chiedere gli
arretrati.
Sistema indennitario addio. È questo l’effetto dirompente per il mercato dell’energia, della recentissima sentenza n. 683/2013 del TAR Lombardia che, in accoglimento del ricorso presentato da Edison contro l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) e l’Acquirente Unico (AU), ha annullato alcune delibere dell’Autorità che avevano istituito e regolamentato il cd. sistema indennitario.
Il sistema, introdotto dal 2009 ed entrato effettivamente a regime nel 2012, era mirato a combattere il fenomeno del “turismo energetico”, espediente usato da alcuni clienti che, sfruttando le opportunità offerte dal mercato liberalizzato dell’energia, si spostavano da un fornitore all’altro senza pagare le ultime bollette, prima di rischiare l’interruzione della fornitura.
Il Sistema Indennitario era teso a ridurre o annullare il fenomeno, dal momento che per effetto di esso il nuovo fornitore era tenuto a richiedere al nuovo cliente anche il pagamento delle somme dovute al precedente fornitore, con una voce in bolletta denominata C-MOR.
In caso di mancato pagamento del C-MOR, il nuovo fornitore aveva facoltà di interrompere la fornitura, anche se i consumi in corso venivano regolarmente pagati dal cliente.
Il sistema funzionava grazie ad un complesso sistema informatico gestito dall’Acquirente Unico e si risolveva nell’obbligo di pagamento di vecchie morosità in capo ai fornitori subentranti.
Edison aveva denunciato al TAR che il sistema così concepito entrava nella sfera di contratti tra privati in un mercato liberalizzato, oltre ad avvantaggiare Enel(intervenuta nel procedimento a sostegno dell’Autorità), che da ex monopolista è l’azienda che, per effetto della liberalizzazione del mercato, subisce la maggiore perdita di clienti.
Il sistema comportava inoltre pesanti costi gestionali per gli operatori e non pareva davvero efficace a combattere il turismo energetico, a causa della lentezza di attivazione delle procedure (che permetteva nel frattempo ai clienti scorretti di cambiar ulteriormente il fornitore) e della possibilità di recuperare solo l’ammontare delle ultime due bollette insolute.
Il TAR ha giudicato il Sistema Indennitario al di fuori delle attribuzioni dell’Autorità, che avrebbe violato i principi della liberalizzazione ed ecceduto i propri poteri di regolazione sostituendosi alla libera volontà delle parti.
Quali effetti potrebbe avere questa decisione sulla bolletta degli italiani?
Intervistato dal Secolo XIX di Genova (v. articolo uscito domenica 24 marzo 2013),Giovanni Ferrari, avvocato genovese presidente dell’associazione nazionale di consumatori Casa del Consumatore, non si è risparmiato una stoccata all’Autorità:“è paradossale che dopo tre anni di lavoro e sviluppo di complessi sistemi informativi costati agli italiani milioni di euro, tutto sia andato in fumo perché l’Autorità ha esorbitato le proprie competenze. Sono valutazioni preliminari che andrebbero fatte con più attenzione”.
“Quanto agli effetti della sentenza”, aggiunge Ferrari “mi aspetto un intervento immediato dell’Autorità, che deve bloccare l’inserimento della voce C-mor in tutte le prossime bollette. Per quelle non ancora pagate, ritengo che il fornitore non possa più pretenderne il pagamento integrale, comprensivo del C-mor”.

ATTENZIONE AGGIORNAMENTO DI LUGLIO 2013
Il Consiglio di Stato ha sospeso la decisione del Tar di cui si parla nell’articolo. Quindi il C-MOR può nuovamente essere richiesto dal vostro nuovo fornitoreper debiti verso il vecchio fornitore (solo però le ultime due bollette non pagate).

mercoledì 13 febbraio 2013

Casa del Consumatore: ad alta voce per dar voce ai cittadini

Il presente intervento vuole essere soltanto una riflessione. Una triste e sofferta riflessione da parte di un’associazione che si prefigge l’obiettivo di porsi al servizio del cittadino, di sostenerlo nelle iniziative concrete che è costretto ad adottare nei confronti di soggetti pubblici e privati che a volte dimenticano la regolarità delle procedure da seguire e delle norme di legge poste a tutela di diritti che rispondono ad interessi primari dell’individuo, ma che è anche chiamata responsabilmente a raccogliere lo sfogo di quanti (tante, troppe famiglie reggine) si sentono confinati in un angolo senza vie d’uscita, di chi non ha più una scelta, uno strumento di reazione. Di chi ha vissuto una vita accettando i sacrifici diretti alla costruzione di un futuro e di una serenità che, mai come oggi, sembrano essere negati. Il quotidiano di molti concittadini sembra essersi tradotto in una ricorsa ad onorare i propri doveri, vedendo trascurati e calpestati i propri diritti. Il quotidiano di chi si confronta ogni giorno con la propria incapacità economica per far fronte ad una pressione fiscale, di oneri e spese divenuti insostenibili. L’ottimizzazione delle proprie risorse e delle proprie energie è spesso (nella maggior parte dei casi) uno sforzo vano. Il tempo dedicato al lavoro non porta frutti proporzionati, il tempo dedicato alla ricerca di un lavoro è una rincorsa disperata al nulla. Ma nessuno, neanche chi non produce reddito perché non ha l’opportunità di farlo, può vivre di nulla. Ogni servizio indispensabile ha un costo elevato, anche i servizi che non vengono pienamente resi alla collettività hanno un costo elevato. Ed il riferimento ai recenti rincari del canone per il servizio idrico e per la TARSU non può essere e non è puramente casuale. Un’iniziativa che la Commissione Straordinaria insediatasi dopo lo scioglimento degli organi rappresentativi locali ha adottato in un momento in cui l’esasperazione dei cittadini era già alta e che ha generato moti di rabbia e sconforto difficilmente non condivisibili. Come spiegare al cittadino che le ragioni della legge e quelle della giustizia, che la legge è chiamata ad applicare, a volte percorrono strade differenti da quelle del sentire comune? Come pretendere di essere compresi da chi è costretto a gettare i sacchetti dei rifiuti al centro della carreggiata, perché i cassonetti e gli immediati paraggi sono invasi da altrettanti sacchetti gettati da altri e non raccolti da giorni e giorni? Come spiegare che, nonostante ciò, la Commissione Straordinaria ha adottato un atto amministrativo che impone di pagare a caro prezzo l’indecoroso disservizio che è sotto gli occhi di tutti? Come pretendere dal padre di famiglia di pagare e pagare e ancora pagare, per sentirsi ogni giorno un “cittadino di serie B” che getta la spazzatura per strada e beve acqua salata per anni pagata come potabile? Come spiegare al cittadino che, se affronta un giudizio davanti all’autorità competente per far valere le proprie ragioni, con ogni probabilità vedrà riconosciuto il suo buon diritto, ma potrà esercitarlo chissà tra quanti anni, perché la tesoreria del Comune non ha i fondi necessari ad onorare le sentenze che lo condannano ed eseguire i titoli esecutivi è quasi un salto nel vuoto? Come pretendere che il senso civico si mantenga alto e saldo e che i doveri di cooperazione sociale si facciano largo nei sentimenti e nelle intenzioni del cittadino comune, se gli stessi strumenti di solidarietà sociale, destinati a realizzare i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, vengono coperti e soffocati dal pesante velo di un’austerità economica che mortifica e paralizza senza alcun percepibile spiraglio di riscatto?
Vien da chiedersi se la vera ed amara realtà del disagio sociale in cui versano i cittadini reggini sia davvero percepita da chi è chiamato a governarli, o se tali considerazioni vengano lasciate fuori dalla porta per dare unicamente spazio all’indefessa macchina del risanamento (auspicato) della voragine che ci avvolge, ma che cieca non vede ciò che la circonda, sorda non ascolta ciò che viene chiesto e reclamato, muta non risponde a ciò che viene quotidianamente denunciato.
La speranza è che questa riflessione non rimanga lettera morta, ma sia lo stimolo e lo spunto per chi ci governa, interlocutore sino ad oggi silenzioso, di dare dei segnali di risposta elle problematiche ed alle doglianze del cittadino comune di cui la Casa del Consumatore è onorata ed onerata di farsi portavoce.

lunedì 14 gennaio 2013

Tassa di concessione governativa: l'inversione di tendenza della Cassazione

Pubblichiamo il testo della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione Tributaria, n. 23052 del 14 dicembre 2012, che ha sovvertito l'orientamento prevalente delle Commissioni Tributarie in materia di tassa di concessione governativa per le utenze mobili in abbonamento, stabilento la legittimità del tributo:



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Sentenza 14 dicembre 2012, n. 23052
Svolgimento del processo
La controversia attiene alla richiesta, formulata dai Comuni indicati in rubrica, di rimborso della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari posseduti.
La Commissione tributaria provinciale di Treviso con sentenza 19/06/210 ha respinto ilricorso presentato dai comuni interessati.
La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello deiComuni contribuenti, così motivando:
- l'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, prevede il pagamento della tassa di concessione governativa in relazione all'utilizzo di licenza o di documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per ilservizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione;
- il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003) ha disposto, con l'art. 3, la liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettrica e, con l'art. 218, ha abrogato il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che, nello stabilire che presso ogni singola stazione radioelettrica di cui fosse stato concesso l'esercizio doveva essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e nel disporre che oggetto della tassazione sarebbe stato il contratto di abbonamento sostitutivo della licenza, costituiva la fonte normativa del citato art. 21 della tariffa e presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile;
- era irrilevante la circostanza che l'art. 1, comma 203, della legge finanziaria 2007/244 avesse esteso anche ai non udenti i benefici previsti dall'art. 21 della tariffa, non potendo tale disposizione comportare la reviviscenza di una norma già abrogata;
- il TUIR aveva escluso i Comuni dalTassoggettamento alle imposte dirette e la riformulazione dell'art. 114 della Costituzione aveva posto sullo stesso piano iComuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'Agenzia delle entrate sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso e memoria iComuni intimati.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 74 cit. T.U.I.R. e deduce che non è pertinente il riferimento a tale norma, operato dalla sentenza impugnata, per giustificare l'esenzione dei Comuni dalla tassa di cui trattasi.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 114 Cost., e si deduce che tale norma non implica l'uguaglianza del Comune e dello Stato sul piano fiscale, ma più semplicemente la coordinazione dei vari enti e dei relativi poteri in un unico risultato, con la conseguenza che i Comuni non sono esclusi dall'assoggettamento all'imposizione fiscale da parte dello Stato.
Con il terzo motivo si denuncia altresì violazione dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, nonchè del D.M. 24 maggio 2005, art. 2, e L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 203.
L'Agenzia deduce al riguardo che il legislatore ha modificato l'art. 21 citato con le disposizioni da ultimo richiamate, emanate successivamente all'abrogazione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, e in particolare con la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 203, che ha esteso ai non udenti l'esenzione dalla tassa di concessione governativa già riconosciuta a invalidi e non vedenti, restando così dimostrata la persistente vigenza dello stesso art. 21.
Con il quarto e ultimo motivo la ricorrente denunciando la violazione dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, nonchè del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, e D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218, deduce che:
- malgrado le liberalizzazioni introdotte dal D.Lgs. n. 259 del 2003, l'attuale regime degli operatori radiotelefonici continua a essere sottoposto al controllo della pubblica amministrazione attraverso l'autorizzazione generale prevista dall'arT. 25 dello stesso D.Lgs.;
- il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, - che, nello stabilire che presso ogni singola stazione radioelettrica di cui fosse stato concesso l'esercizio doveva essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, costituiva la fonte normativa dell'art. 21 citato e il presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile - sebbene abrogato dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218, è stato reiterato nel suo contenuto precettivo dall'art. 160 della stesso D.Lgs., che ha disposto che "presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l'autorizzazione generale deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dal Ministero. Per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza"; di conseguenza anche attualmente il proprietario di un apparecchio di telefonia mobile è autorizzato a farne uso in l'orza del proprio abbonamento e, nello stesso tempo, l'art. 160 citato, riproducendo il contenuto dell'art. 318 abrogato, ha modificato l'art. 21 della tariffa nella parte in cui in precedenza richiamava l'art. 318 stesso. Cellulari, telefonia, tassa concessione governativa, comunicazione elettronica.
Preliminarmente va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del quarto motivo del ricorso, sollevata dai controricorrenti sul presupposto che la censura proposta riguardava questione nuova dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità. Va osservato al riguardo che la censura solleva una questione di mero diritto, che non implica accertamenti di fatto, e che pertanto può essere legittimante proposta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 2005/20005; 2007/9297).
Nel merito, esaminati congiuntamente i motivi di ricorso, in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, ritiene il collegio che il ricorso sia fondato nei termini qui di seguito precisati.
Il D.P.R. n. 641 del 1972, ("Disciplina delle tasse sulle concessioni governative), nel suo primo articolo stabilisce che sono soggetti alle tasse sulle concessioni governative: "I provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell'annessa tariffa".
Per quanto concerne l'utilizzo dei cellulari, si deve fare riferimento all'art. 21 di detta tariffa, il quale indica quale oggetto di tassazione: "Licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, e D.L. 13 maggio 1973, n. 151, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 202).
In merito all'utilizzo della licenza, con il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, (Codice postale e delle telecomunicazioni), si precisava che: "Presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l'esercizio deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni".
Successivamente, a seguito dell'entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003), il settore delle comunicazioni è stato privatizzato, al fine di tutelare i diritti inderogabili di libertà delle persone nell'utilizzo dei mezzi di comunicazione elettronica, nonchè il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime, non più di concessione, ma di concorrenza.
La fornitura di servizi di comunicazione elettronica è stata qualificata come attività libera dal citato D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 3, comma 2, in ragione della sua natura di preminente interesse generale, ma nel rispetto delle condizioni stabilite nel capo 2^ dello stesso decreto legislativo e in particolare dell'art. 25, comma 3, in forza del quale detta fornitura è soggetta ad un'autorizzazione generale, che consegue alla presentazione della dichiarazione, resa dall'interessato, di voler iniziare la fornitura e costituente denuncia di inizio di attività, fermo restando il potere del Ministero, entro e non oltre sessanta giorni dalla presentazione della dichiarazione, di verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare agli interessati entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività.
Nello stesso tempo l'art. 160 dello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche ha reiterato il contenuto dell'abrogato D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, stabilendo che presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l'autorizzazione generale deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata da Ministero, fermo restando che per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento sostituisce la licenza.
Dal quadro normativo delineato dal Codice delle comunicazioni elettroniche emerge che l'attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime autorizzatorio da parte della Pubblica amministrazione, con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio, e che tale permanente regime autorizzatorio, pur contrassegnato da maggiori spazi di libertà rispetto al passato, giustifica il mantenimento della tassa di concessione governativa prevista per l'utilizzo degli apparecchi di telefonia mobile, costituendo oggetto di tassazione, ai sensi dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, la "Licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione". Non rileva l'argomentazione dei controricorrenti, secondo cui il citato art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche riguarderebbe soltanto gli impianti radioelettrici e non gli apparecchi di telefonia mobile, che non costituiscono un impianto radioelettrico. Invero tale articolo ha riprodotto esattamente il contenuto normativo dell'abrogato D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che costituiva in precedenza il presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile.
La delineata interpretazione del quadro normativo di riferimento trova conferma nel disposto della L. finanziaria n. 244 del 2007, art. 1, comma 203, che. intervenuta successivamente alla ritenuta abrogazione dell'art. 21 della tariffa per effetto del disposto del D.Lgs. n. 159 del 2003, art. 268, ha esteso ai non udenti l'esenzione dalla tassa di concessione governativa già prevista dallo stesso art. 21 per invalidi e non vedenti, restando così dimostrata la persistente vigenza di tale disposizione tariffaria anche dopo l'abrogazione del D.P.R. n. 196 del 1973, art. 318.
Non rilevano, infine, neppure i riferimenti compiuti dai giudici di appello alle disposizioni del TUIR, che riguardano soltanto l'imposizione diretta, e all'art. 114 Cost., da cui non è dato ricavare alcun elemento che giustifichi una generale esenzione deiComuni dall'imposizione fiscale dello Stato.
Il ricorso merita pertanto accoglimento nei termini fin qui precisati e la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata in ordine alle censure accolte.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell'originario ricorso dei Comuni contribuenti.
La novità della questioni affrontate giustifica la totale compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso introduttivo. Compensa integralmente le spese processuali dell'intero giudizio.

giovedì 10 gennaio 2013

Costi di disattivazione dell'utenza telefonica? Non sono mai dovuti!

Riportiamo dal Blog del del Consumatore un interessante articolo in materia di telefonia ed abusi da parte dei gestori telefonici. Per ulteriori informazioni ed assistenza contattateci al numero 0965/29805.
Fino al 2007 le chiamavano penali: venivano applicate agli utenti che decidevano di cambiare operatore telefonico oppure di esercitare la propria facoltà di recesso dal contratto telefonico.
Poi la legge 40/2007 ha vietato l’addebito di qualunque penale o spesa che non fosse giustificata da “costi degli operatori”.
E gli operatori che hanno fatto? Hanno cominciato ad applicare i cosiddetti “costi di disattivazione”: cifre piuttosto alte addebitate nelle bollette di chiusura senza alcuna spiegazione…
L’ennesimo tentativo di aggirare la legge? Forse sì…
Ma vediamo cosa prevede la normativa “spiegata” dalle Linee guida stilate dall’Autorità Garante per le Comunicazioni e come contestare l’addebito di importi spropositati per la disattivazione del servizio o per il cambio di operatore.
Art. 1 comma 3 legge 40/2007: i contratti telefonici (così come i contratti tv) devono prevedere la facoltà del contraente di recedere o di trasferire le utenzepresso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni.
Inoltre, sul rispetto di tale normativa vigila l’Agcom che, se riscontra delle violazioni, può direttamente sanzionare le aziende.
Le Linee guida della Direzione Tutela dei Consumatori dell’Agcom:
1) la norma si applica a tutti coloro che sottoscrivono contratti per adesione on operatori di telefonia, inclusi gli utenti finali non residenziali: quindi, non solo consumatori, ma anche clienti business (in genere piccole e medie imprese), esclusi solo quelli di grandi dimensioni che hanno “negoziato” le clausole contrattuali;
2) dalla semplice lettura dei contratti per adesione l’utente deve poter conoscere la facoltà di recesso o di trasferimento dell’utenza senza vincoli temporali, quindi esercitabile in ogni momento (salvo un obbligo di preavviso massimo di 30 giorni): l’eventuale previsione di una durata minima contrattuale è vincolante solo ed esclusivamente per l’operatore; inoltre, dalla lettura delle condizioni contrattuali l’utente deve poter conoscere anche le eventuali spese richieste per il caso in cui tale facoltà venga esercitata;
3) l’operatore deve compiere tutti gli adempimenti necessari per la disattivazione del servizio entro 30 giorni da quando l’utente ha richiesto il trasferimento dell’utenza oppure ha esercitato il diritto di recesso;
4) l’utente non deve versare alcuna “penale”, comunque denominata, a fronte dell’esercizio della facoltà di recesso o di trasferimento dell’utenza: gli unici importi ammessi sono quelli giustificati da “costi” degli operatori”;
5) tali costi devono corrispondere alle spese effettivamente dimostrabili e correlate alle operazioni di disattivazione/trasferimento: l’operatore deve fornire la prova della loro pertinenza e necessità;
6) per i casi di passaggio da un operatore ad un altro, generalmente le attività di disattivazione della configurazione preesistente coincidono con le attività tecniche di attivazione effettuate dall’operatore che acquisisce il cliente e sono già remunerate da quest’ultimo: quindi, eventuali costi di disattivazione posti a carico dell’utente non sono in linea di massima giustificati.
Cosa fare quando si riceve una bolletta di chiusura recante l’addebito di costi di disattivazione eccessivi ed ingiustificati?
Chi ha già effettuato il pagamento dell’intera somma fatturata, può chiedere la restituzione dell’importo corrispondente ai costi di disattivazione.
Chi non ha ancora pagato la bolletta, può contestare tale importo e richiederne lo storno.