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martedì 30 ottobre 2012

Scontro tra veicoli: indennizzo diretto obbligatorio o facoltativo?



Come molti sapranno, a decorrere dal 1° gennaio 2007 è stato introdotto il c.d. indennizzo diretto dei danni subiti in seguito a sinistro stradale.
In estrema sintesi, l’indennizzo diretto consente alla vittima del sinistro (che si tratti di danni al veicolo o alle persone coinvolte) di poter domandare il risarcimento delle conseguenze dell’incidente stradale alla propria compagnia assicurativa, anziché a quella del diretto responsabile del danno, a patto che il sinistro coinvolga solo due veicoli e che, in caso di danno alla persona, questo non determini un’invalidità superiore al 9%.

Si tratta di un meccanismo volto ad agevolare l’assicurato, che ha un più immediato referente, facilmente individuabile. Starà, poi, alle compagnie assicuratrici dei veicoli coinvolti regolare tra di loro gli aspetti economici della liquidazione corrisposta all’assicurato.
Resta da chiarire un aspetto di non secondaria importanza: la procedura di indennizzo diretto è obbligatoria per l’assicurato o rappresenta una semplice facoltà? In altri termini: se rimango vittima di un sinistro ho l’obbligo chiedere i danni alla mia compagnia assicurativa o posso, invece, agire direttamente nei confronti della compagnia assicurativa del proprietario del veicolo responsabile del sinistro?
Una risposta chiara, diretta a sciogliere il dubbio, è stata fornita da una recentissima pronuncia del Giudice di Pace di Piacenza, che con la sentenza n. 282 del 4 aprile 2012, ha definitivamente statuito che: “Occorre necessariamente premettere che con la Sentenza interpretativa n. 180/2009, la Corte Costituzione ha escluso- secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 149 DLT 209/2006- che il comma 6 di detto articolo possa essere interpretato nel senso di precludere al danneggiato la possibilità di agire contro l’assicurazione del responsabile civile, dovendo la norma essere necessariamente intesa nel senso che il danneggiato può scegliere se agire contro il proprio assicuratore oppure contro quello del responsabile civile.
Rileva il giudicante che consentire la scelta al danneggiato solo alla fase giudiziale sarebbe una decisione illogica e ingiustificabile perché all’azione giudiziale deve comunque precedere la richiesta danni, nel forme previste dalla legge; considerato poi che  il danneggiato, come non può essere costretto ad agire in giudizio unicamente contro il proprio assicuratore, così non può ritenersi costretto, durante la fase stragiudiziale”.
Il Giudice di Pace, in sintesi, ha stabilito che la procedura di indennizzo diretto non rappresenta che una facoltà per il danneggiato che intende ottenere il risarcimento delle conseguenze del sinistro, potendo quest’ultimo, così come accadeva in passato (ossia, prima del 1° gennaio 2007, data di introduzione della nuova forma di liquidazione del sinistro), continuare ad agire direttamente nei confronti della compagnia  assicurativa del responsabile del sinistro; quest’ultima, infatti, non potrà contestare alla vittima del sinistro che richieda l’indennizzo di non essere “qualificata” a rispondere a tale legittima istanza, né – nel caso in cui si renda necessario agire in giudizio per ottenere il risarcimento – potrà eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva (ossia il fatto di non essere il soggetto idoneo a resistere in giudizio, perché, sostanzialmente, estraneo alla materia del contendere).
Si riporta, di seguito, il testo integrale della motivazione della sentenza sopra citata:

[omissis]
OSSERVA
La presente controversia può essere decisa solo in parte, con sentenza non definitiva, con prosieguo del giudizio in ordine agli altri profili controversi.
L’attore R., a seguito di sinistro stradale, che lo vedeva coinvolto insieme al sig. T. proponeva sin dalla fase stragiudiziale domanda di risarcimento alla compagnia del responsabile civile I. Quest’ultima aveva sollevato la propria incompetenza a provvedere ai sensi del comma 1 dell’art. 149 C.A.P. ed aveva invitato il R. a rivolgersi alla propria assicurazione.
L’attore invece citava in giudizio il sig. T. e direttamente la società I., quale assicurazione del responsabile civile chiedendo il risarcimento di tutti i danni  patiti.
Si costituiva in giudizio invece S. S.p.a in forza di mandato irrevocabile conferito da I. Con tale mandato si attribuisce all’impresa assicuratrice del R. (danneggiato) il potere di agire in nome e per conto o solo per conto dell’impresa di assicuratrice del responsabile civile, sia nella fase stragiudiziale sia nella fase giudiziale.
La S. nella medesima costituzione dichiarava anche di intervenire nel processo chiedendo al Giudice di considerare ammissibile il proprio intervento adesivo autonomo e lo sollecitava a respingere la domanda del danneggiato per avere lo stesso rivolto la richiesta indennitaria ad impresa assicuratrice non competente secondo l’art. 149 DLT n.209/2005; in subordine, nel merito liquidare il danno se e nella misura in cui lo stesso risulterà provato.
Con ordinanza riservata del 30-11-2011 il giudicante dichiarava la contumacia di T. e dell’Assicurazione . infine fissava per precisazione delle conclusioni e discussine. Nell’udienza del 15-2-2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
Occorre necessariamente premettere che con la Sentenza interpretativa n. 180/2009, la Corte Costituzione ha escluso- secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 149 DLT 209/2006- che il comma 6 di detto articolo possa essere interpretato nel senso di precludere al danneggiato la possibilità di agire contro l’assicurazione del responsabile civile, dovendo la norma essere necessariamente intesa nel senso che il danneggiato può scegliere se agire contro il proprio assicuratore oppure contro quello del responsabile civile.
Rileva il giudicante che consentire la scelta al danneggiato solo alla fase giudiziale sarebbe una decisione illogica e ingiustificabile perché all’azione giudiziale deve comunque precedere la richiesta danni, nel forme previste dalla legge; considerato poi che  il danneggiato, come non può essere costretto ad agire in giudizio unicamente contro il proprio assicuratore, così non può ritenersi costretto, durante la fase stragiudiziale.
La domanda dell’attore deve, quindi, dichiararsi ammissibile.
Diversamente, non può considerare ammissibile la comparsa di costituzione di I. in nome e per conto o solo per conto dell’Assicurazione del responsabile civile. 
Prima di tutto perché così facendo si imporrebbe all’attore una controparte che non ha scelto.
Infatti, se la convenzione tra le imprese (CARD) giustifica l’interesse dell’Assicurazione del danneggiato ( in questo caso Sara ASS. ) ad intervenire nel giudizio in quanto portatore di un interesse proprio e comunque  garantendo maggiormente l’attore in giudizio, diversamente il semplice “mandato” non può legittimare una sostituzione processuale ex art.81 c.p.c.
Questo “mandato con rappresentanza” è una scrittura privata munita di firma a repertorio da notaio con il quale l’impresa S. intenderebbe giustificare la sua presenza in giudizio, nonostante la stessa non sia stata citata dall’attore/danneggiato che ha optato per l’azione ex art.2043 c.c. Tale scrittura privata con firma autentica, a prescindere dalla loro qualificazione di “procura” con la quale si intende conferire “mandato con rappresentanza” non pare comunque idonea a risolvere il problema della legittimazione a stare in giudizio laddove non sia stata citata dall’attore.
Con il “mandato” le imprese di fatto non conferiscono alcuna procura o mandato poiché l’oggetto della procura riguarda sempre e comunque solo l’attività che la “ gestionaria” è comunque obbligata dalla legge a compiere in nome proprio e delle cui obbligazioni risponde in nome proprio.
Difatti la procura recita : “..conferisce ad ognuno delle imprese di seguito indicate….un mandato irrevocabile a compiere ogni attività, nessuna esclusa, che si rende necessaria per la gestione e la liquidazione del danno nei sinistri rientranti nell’ambito di applicazione degli artt.141 e 149 .
 La procura riguarda solo l’ambito delle speciali azioni previste dagli artt. 141 e 149 codice assicurazioni, trasportati e risarcimento diretto e non certo le ordinarie azioni svolte ex art. 144 in forza della procedura dell’art.148.
In ogni caso, come sopra anticipato, la procura rimane comunque atto negoziale che resta nell’ambito della autonomia tra privati e come tale certamente non può incidere sui diritti dei terzi né può modificare le norme processuali che disciplinano la materia in particolare l’art. 81 c.p.c. che in tema di sostituzione processuale prevede che fuori dai casi previsti espressamente dalla legge, nessuno può far vale nel processo un nome proprio un diritto altrui.
Il mandato non è una procura generale e certamente non comporta alcun conferimento di poteri generali alla compagnia gestionaria. La stessa Cassazione ha più volte ribadito che il potere rappresentativo processuale, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite può essere conferito soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio e poiché al mandatario non sono stati conferiti poteri generali in mancanza di tali poteri è esclusa la legittimazione ad processus del preteso rappresentante ( si veda per tutte Cass. sez.Un. 2479/2009).
Completamente diverso è invece ragionamento circa l’ammissibilità dell’intervento volontario dell’Assicurazione S. (assicurazione del danneggiato).
Come è noto il terzo può intervenire nella causa già pendente tra le parti originarie. L’art. 205 c.p.c. disciplina alcuni tipi di intervento volontario che si distinguono a seconda della connessione tra la situazione giuridica soggettiva di cui il terzo è titolare e che fa valere nel processo e il rapporto giuridico controverso oggetto del processo pendente.
Il primo comma dell’art. 205 c.p.c. disciplina l’intervento principale. Il terzo è titolare di un diritto autonomo rispetto al rapporto controverso, ma connesso con riferimento al petitum o ai fatti costitutivi, proponendo una domanda giudiziale nei confronti di tutte le parti e fa valere un proprio diritto di cui si afferma titolare.
La norma disciplina anche l’intervento adesivo autonomo nel quale il terzo pur facendo valere un proprio diritto autonomo, propone una domanda nei confronti di una soltanto delle parti originarie. Il diritto fatto vale in giudizio non è incompatibile con quello controverso ma sorge da una identità di fatto costitutivo o di causa pretendi. In questo caso nonostante l’autonomia l’intervento si qualifica adesivo perché è spiegato solo nei confronti di una delle parti (come nel caso di specie).
Il terzo può anche intervenire in causa soltanto per sostenere le ragioni di alcune delle parti avendo un interesse giuridicamente apprezzabile, in quanto titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in giudizio o da esso dipendente. In virtù di tale connessione o dipendenza , può sorgere un pregiudizio del diritto di cui il terzo si asserisce titolare, nell’ipotesi di soccombenza della parte originaria adiuvata. Deve essere comunque un interesse giuridicamente tutelabile.
Appare evidente che l’intervento dell’Assicurazione S. sia inquadrabile nella figura dell’intervento adesivo autonomo, considerato che la S. assume solidalmente le obbligazioni già in capo all’assicurazione I.
Si tratta infatti di litisconsorzio facoltativo tra le due assicurazioni in quanto esiste connessione per l’oggetto.
Osserva il giudicante che in esecuzione dell’art. 13 DPR 254/2006 è stata stipulata una convenzione tra le imprese di assicurazioni ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione dell’indennizzo diretto (CARD).
La convenzione comporta l’assunzione nella vesta di “gestionaria quando il risarcimento viene effettuato in tutto o in parte dall’impresa assicuratrice del veicolo civilmente responsabile del sinistro ovvero di debitrice quando i danni provocati dal proprio assicurato responsabile vengono risarciti per suo contro da un’altra impresa che diritto ad essere rimborsata secondo la quota di responsabilità attribuibile al proprio assicurato”.
E’ proprio dalla convenzione CARD che nasce l’interesse giuridicamente tutelabile dell’Assicurazione S. ad intervenire nel processo di cui è causa.
La convenzione CARD può a parere del giudicante qualificarsi quale delegazione cumulatoria titolata non liberatoria ai sensi dell’art. 1268 c.c.
La delegazione è l’incarico conferito da un soggetto, detto delegante, ad un altro soggetto detto delegato, di pagare e di obbligarsi a pagare ad un terzo.
Il termine delegazione vale poi a designare l’operazione complessiva dell’incarico delegatorio e degli atti ad esso collegati.
L’art. 1268 c.c. prevede solo la delegazione passiva quando il delegante è il debitore del delegatario e conferisce l’incarico al delegato al fine di adempiere la propria obbligazione.
Si tratta di un ipotesi di notificazione del soggetto passivo del rapporto obbligatorio che nel caso di specie comporterà l’affiancarsi di un nuovo debitore con conseguente rafforzamento della garanzia patrimoniale del creditore.
Non può certamente parlarsi di delegazione liberatoria che rientra nello schema della novazione soggettiva e dove l’obbligazione del delegato sostituisce quella originaria la quale si estingue. In quest’ultimo caso l’immediata liberazione del debitore originario modifica la posizione del creditore togliendo a quest’ultimo il vantaggio tipicamente connesso alla delegazione. Essa richiede il consenso del creditore.
Nella delegazione comulativa o non liberatoria vi è la costituzione di una obbligazione che si aggiunge, senza estinguerla all’obbligazione originaria del delegante.
Conseguentemente l’adempimento del delegato è imputato al delegante estinguendo l’obbligazione di quest’ultimo. Pertanto esiste tra l’obbligazione del delegante e quella del delegato un vincolo di solidarietà e le vicende estintive del debito originario incidono sull’obbligazione del delegato e viceversa secondo le regole della solidarietà.
Nella delegazione titolata, come appunto nel caso in esame, il delegato può opporre  al delegatario (R.i) le eccezioni relative al rapporto di provvista (tra Assicurazione I. e Assicurazione S.) e di valuta ( tra I. e l’attore) .
Nel caso di specie il delegato assume il debito del delegante in ragione della sottoscrizione della convenzione CARD.
Si conclude poi rilevando che la domanda proposta dall’attore, nell’atto di citazione, si estende automaticamente alla compagnia intervenuta come affermato più volte dalla Cassazione (si veda per tutte Cass n.17954/2008).
Il giudicante poi dispone la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza e riserva all’esito del giudizio la statuizione sulle spese.
P.Q.M.
[omissis]
Così deciso in Piacenza il 4 aprile 2012
 Il Giudice di Pace
Avv. Ljdia Bruno

sabato 13 ottobre 2012

Impariamo a conoscere i nostri diritti: l'ABC sul diritto di recesso.



È all’ordine del giorno la realizzazione di transazioni commerciali “a distanza”, ossia tra soggetti che si trovano in luoghi differenti e che, quindi, non realizzano la compravendita interfacciandosi personalmente tra loro. La capillare diffusione di internet e di siti specializzati nel cosiddetto e-commerce (commercio elettronico) ha portato, nel corso degli anni, ad una crescita dell’offerta di beni e servizi online, a cui corrisponde una sempre crescente risposta da parte dei consumatori.
Si tratta di operazioni commerciali ricche di indubbi vantaggi, quali la vastità della scelta, l’ottimale possibilità di comparazione dei prezzi, la comodità di ricevere direttamente a casa il prodotto prescelto. Tuttavia, la facilità e l’immediatezza del sistema d’acquisto “con un semplice click” spesso induce l’utente ad affrettati ordini d’acquisto, che sfuggono ad un’adeguata ponderazione tanto dell’effettiva opportunità di eseguire l’ordine, tanto della reale consistenza e qualità del bene comprato.
È, quindi, per rispondere all’esigenza dell’acquirente di poter esprimere un legittimo ripensamento della transazione commerciale realizzata a distanza (non soltanto su internet, ma anche mediante offerte telefoniche, cataloghi,  ecc.), o fuori dai locali commerciali (ad esempio, vendite porta a porta), che il Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) ha previsto la possibilità di esercitare il diritto di recesso dal contratto di compravendita a distanza, ossia la possibilità di tornare sui propri passi, senza alcun onere a proprio carico.
Rispondiamo ad alcune delle più frequenti domande che, solitamente, vengono poste in proposito.

In cosa consiste il diritto di recesso?
Il recesso è la possibilità riconosciuta ad una delle parti della transazione commerciale (nel caso di cui stiamo parlando, al compratore) di sciogliere unilateralmente il contratto, ossia di estinguere tutti gli impegni assunti con esso senza che sia necessario il consenso dell’altra parte (il venditore). Con l’esercizio del recesso, quindi, la vendita non si realizza: il compratore non acquista e non diventa proprietario del bene e il venditore non incassa il prezzo.

Il venditore può contestare le ragioni per cui l’acquirente ha deciso di recedere dal contratto?
No. La scelta di recedere operata dall’acquirente è insindacabile. L’art. 64 del Codice del Consumo, infatti, prevede che il consumatore possa recedere dal contratto “senza specificarne il motivo”. È sufficiente, pertanto, comunicare al venditore la sola volontà di recedere, senza aggiungere altro a corredo o a sostegno della scelta operata ed il venditore non ha diritto di chiedere spiegazioni.

Come si esercita il diritto di recesso?
Il consumatore (acquirente) deve comunicare la volontà di recedere dal contratto attraverso l'invio di una comunicazione scritta alla sede del professionista (venditore) mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La comunicazione può essere inviata anche mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive.
La lettera raccomandata può non essere necessaria se il contratto prevede che il recesso si eserciti mediante la semplice restituzione al mittente della merce ricevuta.

Entro quando l’acquirente può esercitare il diritto di recesso?
Il Codice del Consumo prevede il termine di dieci giorni per inviare la comunicazione di recesso. La comunicazione si intende effettuata in tempo utile se la raccomandata viene consegnata all'ufficio postale accettante entro il termine previsto (è sufficiente, quindi, che entro il decimo giorno l’acquirente si rechi all’ufficio postale e consegni la lettera raccomandata, non rilevando, invece, quando essa venga recapitata effettivamente al venditore). L'avviso di ricevimento non è, comunque, condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.
Se nel contratto di vendita è previsto un termine inferiore per l’esercizio del diritto di recesso, tale clausola è da considerarsi senz’altro illegittima e il consumatore avrà, comunque, diritto di recedere nel termine previsto dal Codice del Consumo.

A partire da quando si deve calcolare la decorrenza dei dieci giorni per l’esercizio del diritto di recesso?
Il Codice del Consumo, all’art. 65, prevede varie ipotesi:

Per i contratti d’acquisto stipulati fuori dai locali commerciali (ad esempio vendite porta a porta), si distinguono due eventualità:
a)  se il venditore fornisce al compratore l’informazione sulla possibilità e sulle modalità di esercizio del diritto di recesso (ai sensi dell’art. 47 del Codice del Consumo), il termine di dieci giorni decorre:

1. Se il consumatore ha sottoscritto una nota d’ordine,  dalla sottoscrizione;
2. Se il consumatore non ha sottoscritto la nota d’ordine, ma abbia visionato il prodotto o gliene siano state illustrate le qualità, dal momento in cui l’acquirente riceve l’informazione sul diritto di recesso;
3. Se l’acquisto è fatto senza la presenza del venditore, dal momento del ricevimento del prodotto;
4. Se è stata illustrata o mostrata dal professionista merce diversa da quella oggetto del contratto, dal momento del ricevimento della merce.

b) se il venditore non fornisce l’informazione sulla possibilità e sulle modalità di esercizio del diritto di recesso (ai sensi dell’art. 47 del Codice del Consumo), il termine non sarà più di dieci giorni, ma di sessanta giorni, se oggetto dell’acquisto sono dei beni (ad esempio, un’aspira polvere, un televisore, un set di pentole, un telefono cellulare, ecc.), decorrenti dal giorno del loro ricevimento; di novanta giorni, se oggetto dell’acquisto sono dei servizi (ad esempio, la fornitura di energia elettrica, linea telefonica, ecc.) dal giorno della conclusione del contratto.

Per le vendite a distanza (ad esempio, online o su catalogo), si distinguono, ancora una volta, le due ipotesi appena viste per le vendite fuori dai locali commerciali:
a) se il venditore fornisce al compratore le informazioni previste dall’art. 52 del Codice del Consumo (dati identificativi del professionista, caratteristiche del prodotto, prezzo, recesso, spese di consegna, modalità di pagamento, ecc.), il termine di dieci giorni decorre:


1. Per i beni, dal giorno del ricevimento della merce o dal giorno in cui siano state fornite le informazioni sul diritto di recesso (se fatto successivamente alla conclusione del contratto e, comunque, entro tre mesi);
2. Per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto o dal giorno in cui siano state fornite le informazioni sul diritto di recesso (se fatto successivamente alla conclusione del contratto e, comunque, entro tre mesi).
b) se il venditore non fornisce le informazioni sul diritto di recesso di cui all’art. 52 del Codice del Consumo, o non ha trasmesso in supporto cartaceo – o altro supporto chiesto dal compratore – la conferma delle informazioni medesime e di quelle ulteriori previste dall’art. 53 (l’esistenza della garanzia e le modalità di assistenza), il termine non sarà più di dieci giorni, ma di sessanta giorni, se oggetto dell’acquisto sono dei beni, decorrenti dal giorno del loro ricevimento; di novanta giorni, se oggetto dell’acquisto sono dei servizi, decorrenti dal giorno della conclusione del contratto.

Esistono spese o oneri per l’esercizio del diritto di recesso a carico del consumatore?
Nessuna penale e nessuna spesa possono essere addebitate all’acquirente che decide di recedere, neanche le spese di spedizione della merce, sostenute dal venditore (sul punto si ricorda, tra le altre, un’importante pronuncia della Corte di Giustizia CE – Sez. IV del 15 aprile 2010, n. 511). Se il contratto lo prevede espressamente, il consumatore potrà essere tenuto al pagamento delle sole spese di spedizione indietro al venditore della merce già recapitata.